Alcune donne della Divina Commedia
Oggi vanno per la maggiore i “percorsi“, ma non sempre godono di efficacia e di ragionevole autonomia all‘interno di un‘opera; i loro scopi si esauriscono spesso alla fonte, rivelandosi tanto sofisticati quanto poco spendibili didatticamente.
Rispettare il testo.
La gran parte dei manuali scolastici odierni, alla lettura “orizzontale”, diacronica di un‘opera, sostituisce quella sincronica, che privilegia i singoli temi, decontestualizzati e riconvertiti in unita di “soprasenso”, rispetto alla rete sequenziale dell‘intreccio.
Una scelta accettabile, talora persino encomiabile, purché rispetti gli obiettivi dell’opera madre e del suo creatore, senza voler ad ogni costo inventare legami inesistenti solo per soddisfare velleità di ricercatezza esasperata. Legami tanto più biasimevoli quando più vengono creati tra opere e autori che, vissuti in epoche diverse, non hanno condiviso nulla, ma che hanno attinto semplicemente da un comune patrimonio di stimoli, di idee e di tradizioni.
La scelta dell’opera “privilegiata”.
Certo è che alcuni testi risultano più allettanti di altri per la realizzazione di percorsi, un vero Eldorado per chi é maestro nell‘arte del mosaico letterario intra- ed extra-testuale, incline ad un processo di decostruzione raffinato ma, spesso, perverso. Opere dall’impianto già di per sé reticolare, scandito, facilmente utilizzabili per una lettura
non sequenziale. Opere che, invece, devono essere trattate anch’esse con il rispetto dovuto alla idea che le ha generate, ai suoi scopi, senza voler, ad ogni costo, spezzettarle e ricomporle secondo nuove prospettive sterili e, per questo, inefficaci.
Una di esse e senza dubbio la Divina Commedia.
Divina Commedia offresi.
In essa più che altrove si può ben sperimentare l’individuazione di nodi concettuali scindibili e ricomponibili purché in una prospettiva di complementarità con il valore letterario dell‘opera stessa, nella quale, cioè, i rapporti fra le parti sono reali e non occorre far altro che scoprirli e offrirli alla lettura e all’analisi. Proverò di seguito a definire un esempio di itinerario interno al capolavoro dantesco, in cui il legame fra le sequenze sta nel tema di fondo, certo, ma soprattutto nelle intenzioni del poeta, nel suo atteggiamento poetico e umano. Uno dei percorsi possibili, che spero risulti accettabile.
Donne e misteri.
Piuttosto sfruttato, ma sempre interessante, è il percorso sulle figure femminili della Commedia, specie se lo si offre agli studenti secondo una lettura accattivante che esplori alcuni personaggi, anche noti, ponendone in luce aspetti e correlazioni poco indagati. In questi termini ho proposto ad un ultimo anno di liceo classico i tre profili danteschi di Pia de’ Tolomei (Purgatorio, V), di Sapia senese (Purgatorio, XIII) e di Piccarda Donati (Paradiso, III). Si tratta di tre donne “colpevoli” in modo molto diverso, tre donne avvolte dal mistero, ancora oggi non completamente svelato. Soprattutto di tre donne in cui le passioni, le contraddizioni, le debolezze umane sono raccontate con versi intensamente
poetici e commoventi. Il percorso pone a confronto tali figure, sottolineando quel tanto cli enigmatico che contribuisce a solleticare palati altrimenti poco ingordi, come sono spesso quelli degli studenti. Senza soffermarmi su tutti i possibili dettagli interpretativi, mi limiterò qui di seguito a fornire poche linee di lettura con le quali ho affrontato l’argomento.
Il primo mistero: la Pia.
Dante segue Virgilio nel secondo balzo dell‘Antipurgatorio, dove sono i morti di morte violenta. Qui il poeta, spronato in modo singolare dalla sua guida, incontra tre spiriti. Tragica ed avvincente l’iniziale descrizione che Jacopo del Cassero fornisce della propria morte (w. 64-84), quando, caduto in un agguato, ebbe il tempo di vedere in terra formarsi un lago del suo stesso sangue. Improvvisamente, entra in campo il secondo personaggio
morto violentemente (w. 85-129): “lo fui di Montefeltro, io son Bonconte”. Anch’egli caduto in battaglia, sospinto “ne l’Arno”, anch’egli protagonista di una vicenda drammatica. Sulla fine dei due Dante si permette di creare una favola personale, ricca di dettagli. Ma per il terzo spirito che giunge senza preavviso non è cosi: nulla Dante inventa, nulla aggiunge. Perché? Le domande sull‘identità della Pia si affastellano da secoli senza trovare convincente soluzione, pertanto qui mi limiterò a dire che la donna appare come figura solitaria: non è una guerriera, non è una signora della politica e del potere. Arriva in sordina, piccola e delicata, manifestando attenzione materna per il suo interlocutore, a cui chiede di ricordarla. Un denso lirismo, colorato di sentimento e di viva partecipazione, caratterizza entrambi i protagonisti di questo insolito quadro elegiaco. Come se Dante si ritagliasse un angolo di meravigliosa delicatezza femminile prima del marcato realismo politico, certo più “maschile“, del seguente canto sesto.
Il secondo mistero: Sapia senese.
Siamo nel XIII canto del Purgatorio, esattamente all’imbocco della seconda cornice, quella degli invidiosi, anime cieche. Dante cerca tra loro una “che sia latina” e riceve in risposta una puntualizzazione semantica, introdotta dal pur sempre affettuoso “O frate mio”: più tardi i lettori scopriranno che ad aver parlato è colei che “Savia” non fu, “avvegna che Sapia” fosse chiamata (W. 94-154). Momigliano giudicò il passo un interessante “impasto letterario”, “un chiaroscuro che fa intravedere una peccatrice dietro la trasparenza di una penitente”. Se con la Pia Dante aveva scrutato già l’animo umano con pochi tocchi impressionistici, ora il poeta manifesta la sua magistrale capacità di cogliere la complessità e le contraddizioni del cuore, dove il pentimento convive con i moti dell’animo più naturali che ancora l’anima, legata con un cordone ombelicale alla vita, non ha dimenticato. Moti di invidia, appunto, che rivelano un carattere puntiglioso, Ia permalosità, l‘arguzia sentenziosa, l‘intensità di pensiero e di intelligenza, la volontà di onnipotenza nel suo sfidare Dio, e non da ultimo il rimorso e il pentimento, senza i quali non sarebbe salva. Un quadro di donna poco cordiale ma molto realistico, su cui soffermarsi.
Il terzo mistero: Piccarda Donati.
Giungiamo infine al III canto del Paradiso, al cielo della luna, dove si fanno incontro a Dante anime evanescenti, belle e delicate come riflessi ingannevoli in vetri tersi o in acque poco profonde, e come la perla su una fronte bianca di donna. L’ampia similitudine d‘esordio non è trascurabile dal momento che allude con forza ad un contesto ancora fisico — seppur indistinto — e femmineo, tanto più attraente visto che si parla di una ex-monaca. In effetti questo è il canto di Piccarda, sorella dei più famosi Corso e Forese Donati, la quale vive paga fra gli spiriti inadempienti. Non possiamo esimerci dal rilevare che proprio a lei e alle sue parole di sapienza e consapevolezza, a lei e al suo dolce ricordo mortale Dante affida l’esplicazione del senso generale e gerarchico del paradiso: un compito importante che sottintende ammirazione e riconoscimento. Una creatura tanto fragile e addolorata per un segreto così grande. Molto di umano ancora risiede in questo cielo, ancora vicino al purgatorio e alla vita terrena. Piccarda si svela al poeta come spirito sofferente ed il suo dramma qui è ben visibile, in occhi ed espressioni non ancora annullati nella luce di una più compiuta beatitudine: le sue parole nostalgiche vanno oltre l‘evidente appagamento, e sono parole che nascondono la sofferenza dell’essere stata strappata contro il suo volere ad una vita che lei aveva scelto. Nulla si sa di più, e lo stesso Dante, pur offrendo ancora una nobilissima favola mondana, lascia al non detto i chiaroscuri di Piccarda (“Iddio si sa qual poi mia vita fusi”, v. 108).
Figure dunque accomunate in un percorso soprattutto di contraddizioni e di enigmi, di poesia elevatissima e sublime. Un percorso che più di ogni altra cosa definisce le intenzioni dell’autore: raccontare l‘umano nel e con l’umano, in questo caso attraverso la complessa delicatezza femminile, suscitando interrogativi ed emozioni. Cose preziose da riscoprire anche a scuola.
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